Una lezione che, a giudicare dai risultati che abbiamo sotto gli occhi, gli Stresiani sembra abbiano imparato discretamente: al “Palazzo Bolongaro” ora infatti fanno degna cornice, sul lungolago, i maestosi alberghi Milano, Regina, Astoria, Bristol, Borromeo …
Una nuova pagina di storia si scrive sulla Casa Bolongaro con la venuta di Antonio Rosmini a Stresa, nei primi decenni dell’Ottocento. Questo saggio e intelligente “abate” trentino andò subito a genio alla proprietaria, Anna Maria Bolongaro. A tal punto che, nel 1848, essa lasciò in testamento il Palazzo a Rosmini “per attestato della somma stima che nutro per Lui, non meno che della intensa gratitudine che gli professo, e del grande compiacimento che provo per il notevole bene che fece a questa popolazione di Stresa”.
Durante il soggiorno di Rosmini (1850-1855), la “Casa Bolongaro” divenne un prestigioso ritrovo di cultura nazionale e internazionale. Vi passarono, per citare alcuni nomi famosi, Alessandro Manzoni, Ruggero Bonghi, Niccolò Tommaseo, san Giovanni Bosco, i cardinali Newman e Wiseman, Lacordaire; i marchesi Gustavo di Cavour (fratello di Camillo), Arconati e Boncompagni; i conti Collegno e Cibrario. I più assidui (Manzoni, Cavour, Bonghi) impegnavano il padrone di casa in animate conversazioni (vere e proprie “giornate di studio”), alcune delle quali sono state riportate da Ruggero Bonghi nel bel libro Le stresiane.
Ma è su Manzoni e Rosmini, i più illustri del sodalizio, che si fermò soprattutto l’immagine popolare. Già sul finire del 1850, lo scrittore francese Théophile Gauthier, passando da queste parti, annota a proposito del Manzoni: “Tutti i giorni uno dei suoi amici (Rosmini, appunto), filosofo e metafisico profondo, viene, con qualsiasi tempo, a intrattenere con lui una di quelle discussioni che non possono avere alcuna soluzione quaggiù, perché vi si parla degli alti misteri dell’anima, dell’infinito e dell’eternità”. Quel “tutti i giorni” è chiaramente un’esagerazione; ma rende idea della profonda eco che riscuotevano questi incontri già allora.
Manzoni sarà presente agli ultimi giorni dell’amico morente (1855), e ne raccoglierà il testamento spirituale, condensato in tre parole che volevano essere il programma di una vita intera: “adorare, tacere, godere”.
Nel 1857 Casa Bolongaro passò alla duchessa Elisabetta di Genova, e da quel momento prese il nome di “Villa Ducale”. La duchessa, originaria di Sassonia moglie di un figlio di Carlo Alberto, portò con sé a Stresa la prole: il principe Tommaso e la principessa Margherita. Quest’ultima sposerà Umberto I e diventerà regina d’Italia. Di lei gli stresiani hanno perpetuato la memoria con le “margheritine”, un dolce confezionato in occasione della sua prima comunione, mentre il mondo la ricorderà sempre almeno per la “pizza margherita”, una ricetta inaugurata ad Amalfi, più di cent’anni fa, in onore della regina. Da questo momento la Villa diventa un abituale ritrovo di re, principi, sovrani. Per citarne alcuni: i re Giovanni Nepomuceno di Sassonia (padre di Elisabetta) con la regina e due figlie, Vittorio Emanuele Il, Alberto e Giorgio di Sassonia, del Württemberg; la buona piccola regina di Haiti, la regina di Baviera (ancora vivente Anna Maria Bolongaro) e la regina di Rumenia; i principi Umberto (futuro sposo di Margherita), Amedeo e Vittorio Emanuele (figlio di Margherita, in seguito re Vittorio Emanuele III). Ecco come, nel 1942, il padre rosminiano Giovanni Pusineri racconta il “clima” di queste visite: “C’è ancora a Stresa di quelli, non certo di primo pelo, che rammentano il solenne ricevimento che si faceva all’augusta Regina e all’Erede del Trono: all’avvicinarsi del battello “Verbano”, tuonavano, posti sulla riva del lago, i cannoni (si dicevano venuti da Peschiera, che nel 1848 si era arresa al Duca di Genova), s’intonava la Marcia Reale, e le Autorità del luogo, e specialmente festante la popolazione di Stresa e dei dintorni, andavano a gara a tributare il loro omaggio agli amatissimi e benefici Ospiti”.
L’ultimo piano della Villa venne rifatto più volte. All’abbellimento interno ed alla costruzione del terzo piano lavorarono gli architetti Pietro Bottini ed A. Guidini. Sia l’interno che l’esterno della Villa nel 1990 sono stati completamente ristrutturati e tinteggiati, con il beneplacito della Regione Piemonte. Il visitatore può ancora ammirare alcune tracce del fasto di un tempo: affreschi a soggetto mitologico, ampia scala a due rampe con gradini di granito rosa e ringhiere a ferro battuto, lunette, pitture neoclassiche, affreschi, ornamentazioni a fiori dipinti, pavimenti ad intarsio alternati con altri a mosaico.
Nei circa tredicimila metri quadri di giardino che circonda il Palazzo, prosperano varie specie di piante familiari ed esotiche: palme, olea fragrans, magnolia grandiflora, camelie antichissime, azalee, rododendri. Imponente e suggestivo il cedro deodara (o devadara, l’albero degli dei), che nasconde il palazzo dalla strada sul lungolago: è stato trapiantato già grandicello dal castello di Aglié nel 1860; il suo tronco, alla base, nel 2005 misurava la bellezza di sette metri e trenta centimetri di circonferenza!