|
1863 Il nuovo Collegio Rosmini al “ronco” |
II collegio come lo descrive un ex alunno del 1864
«Quando, con mio fratello maggiore, fui condotto in collegio, nell’autunno del 1864, avevo otto anni e mezzo. Sbarcati a Stresa - qui il vocabolo “sbarcare” riveste una proprietà assoluta, perché in quel tempo di assai scarsa e disagiata navigazione a vapore, il tragitto per lago da Intra era stato fatto da noi in barca - mio padre, che ci accompagnava, ebbe la gradita sorpresa di imbattersi in un vecchio compagno di scuola a Milano, un Gagliardi d’Oleggio, venuto anch’esso a Stresa per mettere in Collegio il figliuolo. Detto fatto, rinfrescata tra i due papà la vecchia conoscenza, noi ragazzi, futuri ragazzi di stia, tenendoci per mano, prendemmo animosamente su per l’erta che conduce al collegio.
Qui, a noi che ci guardavamo attorno spersi e spauriti, stringendoci ai calzoni di papà e stavamo per piangere, soccorse in buon punto la benevola e festosa accoglienza del rettore, don Luigi Setti, indole gioviale e affettuosa, nato per far da mamma ai poveri piccini costituenti la clientela minuscola del collegio di Stresa. A me toccò la fortuna di averlo a superiore amorevole e indulgente verso i capriccetti del mio carattere un po’ strano, durante i tre anni che stetti colà per le ultime classi elementari. Suo efficace collaboratore di mente e di cuore era allora il padre ministro don Luigi Masante, anima buona e mite, se ce n’era un’altra al mondo, che, succeduto nel rettorato a don Setti passato a Domodossola, resse per parecchi anni, con mano paterna, le sorti del collegio di Stresa e vi morì di mal di cuore.
|
1863 Particolare del Collegio Rosmini in una stampa dell'epoca |
Ho accennato dianzi all’indole gioviale di don Setti; mi sia permesso di citarne qui una testimonianza curiosa e assai eloquente; ed è l’impareggiabile naturalezza, la singolare abilità e il brio indiavolato con che il buon rettore, a divertimento dei suoi collegiali, in occasione delle commedie di burattini che si davano nel teatrino del collegio, a carnevale, si compiaceva di rappresentare, nel genuino e pittoresco dialetto bergamasco, la lepida e arguta maschera di Arlecchino, infiorando la parte burlesca con piacevolezze e barzellette del proprio sacco. Come ci si divertiva tutti, grandi e piccoli! E penso che ci si divertisse per primo il bravo burattinaio; benché modestamente mantenesse con cura gelosa l’incognito (segreto impenetrabile a noi ragazzi, probabilmente per amore delicato e ombroso di autorità e di prestigio).
A maestri a Stresa ebbi, in seconda elementare, un Baroni, buono e affabile cogli scolari, che gli volevano un gran bene. In terza un Dossi, vecchio, dal fare asciutto e burbero, autore di libri scolastici di aritmetica, che a me, al quale l’aritmetica riusciva cordialmente ostica, incutevano un timore reverenziale; in quarta infine, don Veglia, che rividi a Intra, molti anni dopo, direttore didattico e che insegnava assai bene, con profitto della scolaresca, le varie materie del suo corso superiore. A prefetti di camerata mi toccarono oltre al Franzi, un Soria, allora giovanissimo, morto presto maestro elementare, e un Anderlini di Formazza, uomo serio e di poche parole, che si dilettava di allevare canarini e topi bianchi, che, con la loro domesticità e le movenze agili e graziose, formavano la nostra inesauribile ammirazione …
Nel tempo che mio fratello ed io si rimase a Stresa, più d’una volta fummo condotti a riverire il Padre Generale, che era allora don Bertetti, legato da lontana parentela con la nostra famiglia. Don Bertetti, capitando ad Intra non lasciava mai di passar a salutare la nostra nonna materna e quando dimorava a Stresa, di mandar a chiamare qualche volta noi lontani e ignari pronipoti. Il Padre Generale aveva il suo appartamento al primo piano, sul davanti dell’edificio principale e più avanzato, dove, a quel tempo, c’era un terrazzino, prima che la semplice facciata signorile andasse ricoperta, e non saprei dire se abbellita o deturpata, dai porticati attuali, a molteplice serie sovrapposta.
Il buon Padre, dopo la riverenza e il baciamano da parte di noi ragazzi in conformità alle istruzioni impartiteci e ricapitolate fuori dell’uscio dal sig. rettore, nostra guida e nostro Mentore, ci accoglieva cordialmente, con benevolenza paterna: di lui ricordo ancora la buona faccia serena dalle folte sopracciglia: lineamenti, che, con piacere e cara meraviglia, doveva rivedere e riscontrare, anni dopo, per una singolare somiglianza, nel ritratto conservato in famiglia della nostra antenata Bertetti.
Col Generale stava allora Paolo Perez, che il Bertetti teneva presso di sé con ufficio di segretario particolare, dopo averlo iniziato ed introdotto in religione: figura alta e sottile, dall’aspetto, dal comportamento, dai modi, dalle parole spiranti decoro e nobiltà signorile. Di lui letterato chiaro e insigne, scrittore di classica purezza, poeta delicato e gentile, dantista di buona fama, filosofo rosminiano acuto ed erudito; di lui che alla varietà e alla profondità del sapere e della dottrina accoppiava una rara candidezza e bontà d’animo, una più rara candidezza ed effusione di sentimento; di lui che mi fu maestro, dal quale imparai lo studio attento e intelligente, dei classici, della lingua, dello stile; che da vicino e da lontano mi confortò della profonda e benefica influenza, tanto che la memoria dei grandi benefici ricevuti mi rimarrà sacra “usque dum vivam et ultra”; di lui spero avere opportunità di parlare più innanzi, con larghezza ed affetto meno frettolosi e inadeguati.
Qui, frugando nella memoria fanciullesca di quel tempo e di quelle occasioni, non so rammentar altro di lui che l’estrema nostra soggezione di quell’alta e composta figura che, per incarico del nostro ospite, venerando, ci porgeva un bel santino per ciascuno e ci mandava in pace.
Una delle memorie più vive e straordinarie che mi rimane di quel tempo passato a Stresa, è l’incontro che mi capitò di fare alcuna volta, andando a passeggio con la camerata per lo stradone da Stresa a Baveno, di due augusti personaggi, allora adolescenti, figli della duchessa di Genova: Margherita di Savoia, graziosa fanciulla dalle gonne corte (a quel tempo, le gonne corte rimanevano privilegio e distintivo dell’età fanciullesca) destinata ad essere la prima regina d’Italia rifatta, e il fratello Tommaso, ch’io avrei riveduto poco meno di 60 anni dopo, l’inverno scorso a S. Remo, tutto bianco e un po’ intontito dagli anni accompagnato dalla moglie, tuttora energica, da un figlio, il duca di Bergamo …
Due avvenimenti della più alta gravità seguirono in quegli anni che lasciarono in me una impressione profonda di sgomento. Il primo è la guerra italiana del 1866. I nostri superiori - i rosminiani, si sa, nutrirono sempre sentimenti di schietta italianità - ci facevano pregare in chiesa e fuori, con preghiere speciali, per il buon successo delle nostre armi, e, se rammento bene, ci facevano allestire le filacce per i nostri poveri feriti …
Il secondo caso, più vicino a noi, e quindi più pauroso, fu il franamento, seguito a Feriolo, d’un lungo tratto della riva lacuale, sprofondato d’un colpo, nell’abisso delle acque, con le numerose case soprastanti e, purtroppo, coi loro abitatori. Noi fummo condotti, qualche giorno dopo, sul luogo del disastro, dove si stette a lungo pensosi e sgomenti, a scrutare quelle acque tranquille che chiudevano nel profondo la loro preda. Tornati in collegio ci toccò, per tema, di rendere conto di quanto avevamo veduto …»
Alcuni avvenimenti registrati nel “Diario della Casa”
- Anno 1864 - I convittori sono più di 120, con quattro classi delle elementari,
- 2 ott. 1868 - Piogge torrenziali fanno salire il lago forse un metro più alto che nell'anno 1705, il più memorabile della storia di Stresa per piene straordinarie. La gente obbligata ad abbandonare le case inondate in due terzi del paese viene su a cercare asilo ed alimenti. Gli ospiti sono 100, d'ogni condizione ed età. Le donne nella cascina, nel teatro e sue adiacenze. Gli uomini dentro il collegio.
|
Stresa e il Collegio Rosmini in una stampa del 1865 |